L’Iran ha fatto sapere che se Israele non smetterà di colpire Gaza la situazione in Medio Oriente diventerà “incontrollabile”. Una vera e propria minaccia mentre piovono razzi da e contro il Libano

di Corinna Pindaro

Il papa ha “avuto un lungo colloquio telefonico con il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden”. Lo ha fatto sapere l’ufficio stampa della Santa Sede. La conversazione, durata 20 minuti, ha avuto ad oggetto “le situazioni di conflitto nel mondo e il bisogno di trovare percorsi di pace”. La telefonata si colloca in un contesto dove si assiste al continuo aggravarsi dell’instabilità in Medio Oriente.

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha espresso preoccupazione per la sorte degli ostaggi. “Il primo obbiettivo è quello di liberare gli ostaggi che sono tanti, ce ne sono due anche italo-israeliani. Poi c’è un gruppo di italiani a sud di Gaza: 19 persone tra cui 7-8 italiani mentre gli altri sono bambini e mogli di questi connazionali, che speriamo di poter far uscire quanto prima da Gaza. Anche la nostra ambasciata al Cairo è al lavoro per andare a prenderli nel momento in cui si decidesse”, ha detto Tajani.

Intanto, però, la Israele ha fatto sapere di aver ricevuto una vera e propria minaccia dall’Iran. Se Israele non smetterà di attaccare Gaza la situazione diventerà incontrollabile. “Il piano dell’Iran è di attaccare Israele su tutti fronti. Se realizziamo che vogliono attaccare Israele, non solo su tutti i nostri fronti, noi attaccheremo la testa del serpente, l’Iran”, ha commentato il ministro dell’Economia israeliano.

Inoltre l’esercito israeliano ha annunciato di aver identificato ed eliminato una cellula terroristica che si apprestava a lanciare un missile anti tank verso l’area di Zarit, al confine col Libano. In risposta al tentativo, l’esercito sta ora colpendo il territorio libanese. Viceversa è stato intercettato un drone che veniva dal Libano. La situazione appare critica per i razzi degli Hezbollah e delle altre fazioni palestinesi. L’esercito israeliano e il ministero della Difesa hanno annunciato la decisione di evacuare altre 14 comunità israeliane a ridosso del confine, mentre già la settimana scorsa è stata avviata l’evacuazione di 28 altre comunità e della di Kiryat Shmona.

Intanto, è ripreso anche il lancio di razzi da Gaza verso la zona sud di Israele. Sirene antiaeree sono risuonate anche a Gerusalemme e una salva di razzi ha colpito la città costiera di Ashkelon.

Nel frattempo sembra smuoversi un pò la situazione umanitaria a Gaza. Sono entrati tramite il valico di Rafah sei autocisterne con carburante per alimentare i generatori di due ospedali. Israele però sembra negare che le cisterne trasportino combustibile. “Contrariamente a quanto riferito da alcuni media, non è entrato oggi combustibile dall’Egitto a Gaza, attraverso il valico di Rafah”, ha precisato il Coordinatore delle attività israeliane nei Territori. L’ipotesi è stata confermata dal direttore della Mezzaluna Rossa palestinese, Mahmud a-Neirab, ha affermato che a quanto gli risulta non sono entrati oggi dall’Egitto camion con aiuti umanitari. Di fronte agli appelli urgenti per la introduzione a Gaza di scorte di combustibile a fini umanitari, il portavoce militare israeliano Avichay Adraee ha sostenuto oggi che Hamas ha provveduto per tempo a mettere da parte un’ingente quantità di diesel nella zona di Rafah (a sud della Striscia, ndr). Essa – ha notato sul profilo X, in arabo, Adraee – “potrebbe servire agli ospedali, alla igiene e agli impianti di depurazione d’acqua”. Adraee è tornato quindi ad accusare Hamas di subordinare ai propri interessi quelli della popolazione di Gaza.

Ad ogni modo il dato certo è che c’è a rischio la vita di almeno 120 bambini nati prematuri e perciò nelle incubatrici  degli ospedali della Striscia di Gaza  che rischiano di morire proprio a causa dell’esaurimento del carburante necessario per alimentare i generatori. A farlo sapere è l’Unicef, l’agenzia dell’Onu per l’infanzia. Se la situazione non dovesse risolversi, i neonati rischierebbero di sommarsi ai 1.750 minori già uccisi dagli attacchi israeliani alla striscia di Gaza in corso dal 7 ottobre, quando dal territorio palestinese erano partiti migliaia di missili in direzione di Israele.

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